"Ancora un giro di chiave", presentazione del libro di Emma D'Aquino all'Ordine
Giovedì prossimo 7 marzo, a partire dalle 11.30, l’Ordine dei giornalisti di Sicilia, nella sede di via Bernini 52/54 a Palermo, ospiterà la presentazione del libro “Ancora un giro di chiave. Nino Marano. Una vita fra le sbarre”, di Emma D’Aquino, giornalista del Tg1. Dialogheranno con l’autrice i giornalisti Felice Cavallaro e Marina Turco, con un intervento del presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia Giulio Francese. In via Bernini ci sarà lo stesso Nino Marano, che ha ottenuto l'autorizzazione per presenziare all'evento.
«Siamo contenti di questa iniziativa - il commento di Francese - perché vogliamo aprire le porte dell’Ordine ai colleghi e non solo: il nostro intento è quello di mettere a disposizione la nostra sede per presentazioni di libri di giornalisti e di eventi che possano anche portare in via Bernini un pubblico esterno interessato. Spero si possa aprire con la presentazione del libro di Emma D’Aquino, una nuova primavera di libri e di cultura per l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, che già in varie occasioni ha anche accolto le scuole. La presentazione dei libri dei colleghi è sempre una occasione di incontro e di utile confronto».
Emma D’Aquino (Catania, 1966) laureata in Scienze Politiche, in Rai dal 1997, è stata a lungo inviata di Porta a Porta. È stata inviata a New York dopo l’attentato alle Torri Gemelle, ha seguito i più importanti fatti di cronaca, da Cogne all’omicidio di Sarah Scazzi e Meredith Kercher, dal terremoto dell’Aquila al crollo del Ponte Morandi a Genova. Nel 2003 approda al Tg1, lavorando nelle redazioni di Tv7 e Speciale Tg1. Dopo aver condotto il Tg1 delle 13.30, ora conduce l’edizione delle 20.
I dettagli del suo libro sono riassunti in queste poche righe: «Vivo nell’inferno, Emma», mi disse una volta al telefono. Il suo è un inferno interiore, dell’anima. È l’inferno dei ricordi. È il prezzo che sta pagando per quello che ha fatto. Io in lui ho conosciuto l’uomo, e più Nino si mostrava nudo, indifeso, più la sua storia di uomo mi affascinava. Raccontarla è stato un viaggio umano appassionante.
È il 31 gennaio del 1965 quando Nino Marano entra in carcere per aver rubato melanzane e peperoni, la ruota di un’Ape e una bicicletta. L’aveva rubata, racconta, «per andare a lavorare come manovale, non l’avessi mai fatto. Ci sono rimasto per un’eternità. La cella, la coabitazione coatta mi hanno trasformato. Dietro quelle sbarre le mie mani si sono macchiate di sangue e io sono diventato un assassino». I l presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat, s’inaugura il traforo del Monte Bianco e i Beatles arrivano in Italia ma Nino sembra uscito da un romanzo di Verga: menzanu, mediano di cinque figli, madre casalinga, padre bracciante, una casa «che puzzava di fame». Non ha neanche un avvocato quando un giudice si occupa per la prima volta di lui: i furti vengono considerati «in continuazione», fanno cumulo, e lui si ritrova con una condanna a quasi undici anni. E ntra ed esce di prigione fino al 13 giugno del 1973, quando varcando la soglia del penitenziario di Catania ha inizio il suo peregrinare, da nord a sud, per le patrie galere: da Pianosa a Voghera, da Alghero a Porto Azzurro fino a Palermo, spesso nelle sezioni di Alta Sicurezza.
I l 22 maggio 2014, dopo quarantanove anni, due omicidi, due tentati omicidi e due condanne all’ergastolo, Nino Marano, il detenuto più longevo d’Italia per reati commessi in carcere, ha ottenuto la libertà condizionale e si è riaffacciato al mondo, compiendo la sua «metamorfosi».
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